ALGHERO – Era prevedibile. Il Covid-19 non solo ba messo a nudo il sistema sanitario, ma ha anche colpito il sistema economico e sociale. Sul primo punto non vi erano dubbi. Chiusure prolungate in un Paese già in crisi, con certe zone tra le più povere d’Europa, non potevano che produrre danni incalcolabili e perenni. Del resto gli aiuti annunciati e strombazzati, per la loro mole, non sono ancora arrivati. Ma è l’aspetto sociale, psicologico che in questa fase inizia a pesare in maniera sempre maggiore.
Il bombardamento mediatico, pure con fake-news diffuse dai media nazionali (basti vedere la foto dei Navigli a Milano), hanno innalzato il livello di terrore già presente in una popolazione che, nella stragrande maggioranza, ha difficoltà ad informarsi e si adagia sui titoli che, sempre più a caccia di click, nascondono altre notizie, magari molto meno sensazionalistiche. Ed è cosi che, pure in zone dell’Italia dove l’indice di contagio è bassissimo, talmente basso da non essere possibile calcolarlo, si decide di non far iniziare ad aprire le attività.
“In Sardegna ci sono pochi casi, se l’Rt non è calcolabile, i rischi sono bassissimi”, dice Giovanni Sotgiu, docente di statistica medica sulle pagine di un quotidiano regionale. Nonostante questo ci sono comuni dove i Sindaci hanno deciso di non allentare il lockdown (Alghero, Nuoro, Oristano, Porto Torres), quanto invece hanno fatto altri (Olbia, Stintino, Badesi, Carloforte). Una settimana in più o meno, si potrebbe dire, non cambia molto. Invece non è cosi. Perchè qui non si parla di economia, ma proprio di socialità. Una comunità già, da tempo, abituata poco ad essere veramente felice (nonostante le apparenze) oggi si trova ad essere reclusa da mesi, con gli stipendi azzerati, aiuti ancora in itinere, informazioni massive e confuse e tanti altri aspetti che non possono che produrre un grande depressione non solo economica e sociale.
Se anche si aprissero da domani i negozi, i prudenti stiano pure tranquilli: non ci sarebbe alcuna ressa. La condizione generale non è certo da “assalto ai forni”. Non ci sono soldi e c’è paura, non solo dell’eventuale risalita dei contagi, ma della vita sociale. Paura di essere visti e che ci venga additati come possibili “untori”. L’esempio della pesca di queste ore è lampante.
Mentre la Regione, in maniera non si pensa causale, ha indicato da prima la possibilità della pesca sportiva (ovvero permessa con tesserino sportivo) c’è stata la canonica “caccia alle streghe“. Dai social parole di odio contro e richiesta di controlli contro chi si azzardava ad andare a prendere un po’ d’aria con la scusa della pesca. Controlli che, forse questi odiatori seriali, non sanno che sono stati allentati proprio dagli organismi preposti perchè hanno compreso la condizione generale e la necessità di differenziare le possibilità di una regione (praticamente Covid free) rispetto a luoghi, purtroppo per loro, dove hanno perso migliaia di abitanti. Più realisti del Re. Più controllori delle forze dell’ordine.
Per questo, in tale scenario, sarebbe utile, anzi indispensabile, “allentare la morsa”. Far riprendere il contatto con la realtà alle persone e lasciare da parte social, tv e il cannonneggiamento informativo che, solo in questi ultimi giorni, sta iniziando a comprendere che il nostro Paese è totalmente diverso e che la Sardegna non è niente a che fare con la Lombardia, Toscana, Piemonte e che per questo è necessario che, finalmente, come in Alto Adige, si usi appieno ogni passaggio previsto dalla nostra Autonomia. E, a cascata, nei comuni, dove grazie alla bravura delle Amminostrazioni, operatori sanitari e soprattutto dei cittadini, il famigerato Covid-19 è praticamente inesistente. Certo, c’è la solita sfida, acuitasi sempre di più, tra benestanti e il resto della popolazione (placata, ma fino ad un certo punto), però senza coraggio, audacia, visione, non si può rinascere.