ALGHERO – “La sagra è un momento di aggregazione sociale in cui nelle vie e nelle piazze di una cittadina si possono mangiare e degustare piatti tipici locali, vini, salumi, formaggi, pesce, prodotti caratteristici di quel posto o molto apprezzati dalla popolazione locale e non”, cosi Wikipedia. Denominatore comune di “sagra”, da tutti i vocabolari, è la parola “festa”. Ovviamente associata al termine “popolare”.
Ed è cosi che tutti gli algheresi, almeno quelli dai 20 anni circa all’insù ricordano quella del “Bogamarì”. Massima espressione della tipicità di un luogo, in questo caso Alghero, insieme ad altri prodotti come aragosta, corallo, vino, olio, etc, ma, visto lo sviluppo negli anni dell’evento, ancora di più se vogliamo. Ciò significa la creazione di un brand che viene associato ad un determinato territorio. Cosa che i nostri nonni, probabilmente, neanche sapevano, però, essendo più sociali e a questo punto più acculturati di chi magari vanta lauree o esperienze di insegnamento, hanno compreso da subito individuando da decenni il valore della “Sagra del Bogamarì”.
Un appuntamento che è cresciuto negli anni ed ha visto interpretarne il giusto significato da parte di diverse amministrazioni, fino a piombare nel buio della volontà di dargli un assurdo taglio “accademico”. L’opposto del senso stesso della parola sagra, ricordiamolo, “festa popolare”. Ed è cosi che si è persa la bussola. Per la verità questo è solo un esempio, ma sono tanti i “format” che per una volontà poco comprensibile di cambiamento, nonostante funzionassero al meglio e dovessero essere solo implementati, sono stati cancellati o peggio imitati malissimo.
Ritornando al prelibato riccio di mare ci troviamo oggi a dover assistere (nostro malgrado) al requiem di un momento gioviale e popolare a favore dell’enfatizzazione di aspetti degni degli istituti alberghieri e addirittura veterinari. Non stiamo facendo convegni scientifici, ma solo esportando le eccellenze del territorio al fine di fare economia e dare posti di lavoro. Forse qualcuno, che oggi nostro malgrado ci governa, non l’ha compreso, ma tutti, proprio tutti gli algheresi e non, lo sanno. Sarebbe da chiederesi dove hanno vissuto tali persone in tutti questi anni dove, un esempio su tutti, i cagliaritani facevano a gara per invadere Alghero nel periodo della sagra del bogamarì. Un flusso, in bassa stagione, di turismo regionale fondamentale per dare ossigeno da tante imprese, lavoratori e famiglie.
Mentre, come detto, piano piano, ovviamente in linea con scelte sempre meno sfidanti e più accomodanti verso le normative vigenti (l’opposto di quello che deve fare la politica) si è scelto di chiudersi nei ristoranti (le cui adesioni sono sempre meno) e di fermarsi a concorsi e gare. Segmento, giustamente, da implementare, ma senza dimenticare l’essenza della “sagra del bogamarì” ovvero della “festa popolare” all’aperto, tra la gente, al porto, nel centro storico. Senza dimenticare la vendita e gli assaggi, poi divenuti illegali, lungo il Lido. Ad oggi non è chiaro neanche dove si possano acquistare i ricci senza incorrere in guai. Insomma momenti gioviali per eccellenza e radicati nelle nostre vite, oggi cancellati. Tutto questo non solo per fini fondamentali economici (dunque turismo e i suoi effetti benefici), ma anche per ritrovare una socialità che Alghero sta sempre più perdendo tra eterne assemblee, convegni da condominio e dipendenza da social.
Nelle foto (gentilmente concesse da Paolo Calaresu) una delle ultime sagre del bogamarì realizzate al porto di Alghero
S.I.
La Sagra del Bogamarì al porto di Alghero: