Progetto Boes, sostenibilità ambientale ed economica per la filiera bovina

CAGLIARI – Gli allevatori di bovini potranno contare su nuovi protocolli di allevamento e ingrasso grazie agli studi del progetto Boes, giunto alle fasi conclusive, che ha permesso il perfezionamento di nuove modalità di gestione della filiera. Accorgimenti sviluppati in due anni di ricerca accademica, grazie all’impegno della Università di Sassari in collaborazione con quelle di Bari, per il tramite del docente Aristide Maggiolino e di Milano con il lavoro del professore Carlo Sgoifo Rossi, e l’agenzia regionale Agris, con Gabriella Serra e Marco Acciaro che hanno affiancato l’azienda capofila del progetto, la Milia Srl, prestando la propria opera per il perfezionamento di una parte del settore bovino. Il tutto grazie al finanziamento del PSR Sardegna 2014/2020 fondo Feasr Misura 16.1 “Sostegno per la costituzione dei gruppi operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura”. Attori attivi nel progetto condotto sotto la guida scientifica del professor Alberto Stanislao Atzori, anche Francesco Piras come innovation broker e Daniela Auzzas di Credit Data Research Italia come società di progettazione.

Tre aree di ricerca sono state presentate nell’evento conclusivo a un variegato pubblico, dopo lo svolgimento di ben tre seminari aperti a tutti gli allevatori e ai portatori d’interesse, che hanno potuto approfondire le proprie conoscenze su efficientamento del sistema vacca-vitello per capi nati e svezzati in Sardegna, sui sistemi di ingrasso innovativi a basso costo, e sulla valorizzazione della qualità della carne dei bovini di razza Limousine nella frollatura dei tagli pregiati. “I risultati ottenuti – spiega Antonello Milia, titolare della Milia Carni – hanno evidenziato importanti novità e margini di miglioramento nella pratica dell’allevamento, della trasformazione e commercializzazione per noi importantissimi. Risultati che mettiamo a disposizione con l’obiettivo di migliorare tutta la filiera e rendere la nostra regione un polo d’eccellenza per quanto riguarda questo settore, che ricordiamo è al momento uno dei più sostenibili a livello ambientale con una qualità e bontà delle carni impareggiabile, data dal rispetto delle condizioni di benessere animale e dagli allevamenti estensivi”.

Per quanto riguarda l’allevamento si parte dalle condizioni pedoclimatiche della Sardegna che influenzano la condizione dei pascoli “che dalla primavera all’autunno inoltrato spesso, per via della bassa quantità e qualità dell’erba non garantiscono condizioni di accrescimento adeguate per i vitelli e la produzione di latte della vacca. Nell’ambito del progetto BOES si è valutata la possibilità di dare un’integrazione alimentare, costituita da mangime, ai vitelli che affrontano questa situazione. I risultati che abbiamo avuto confermano la bontà di questa tecnica, in quanto il ricavo marginale (dato dal maggiore accrescimento dei vitelli integrati rispetto ai vitelli che non ricevevano mangime) è risultato superiore al costo marginale, costituito dal costo del mangime utilizzato”.

“La seconda area – spiega Alberto Stanislao Atzori della Università di Sassari – ha previsto una prova di ingrassamento con il confronto di due sistemi di ingrasso uno in centro ingrasso classico e uno in sistema dry lot (sistema confinato all’aperto a basso investimento di strutture). Vi sono delle differenze tra i due sistemi, come la durata del ciclo di ingrasso, inferiore nel caso dei sistemi dry-lot; il peso alla macellazione leggermente superiore nei centri ingrasso. Gli animali allevati in dry-lot beneficiano di maggiori spazi e maggior benessere che favorisce cicli più corti. Anche dal lato economico i costi di conduzione sono più bassi nel sistema dry-lot con conseguenti maggiori margini sul costo alimentare e maggiore valore aggiunto rispetto ai costi gestionali nonostante sensibili maggiori ricavi in centro ingrasso”. Infine la terza fase, come ha spiegato Francesco Fancello della Università di Sassari, “ha previsto la definizione di un protocollo di frollatura in collaborazione con il professore Aristide Maggiolino dell’Università di Bari.

Si tratta di un processo chimico-fisico della durata massima di 35 giorni che deve essere costantemente monitorato e che è regolamentato da specifiche norme europee per il rispetto degli standard di igiene a cui è sottoposta la carne che viene fatta maturare in ambienti con temperatura, umidità, pH ed areazione strettamente controllati Fattori che intervengono su tenerezza e succosità della carne, aroma e sapore. All’interno del progetto – spiega ancora Fancello – abbiamo effettuato due prove sperimentali, utilizzando apparecchiature e procedure di controllo per rilevare i parametri di monitoraggio della frollatura della carne, analizzando la composizione chimica e microbiologica, l’andamento del pH e l’evoluzione del peso dei carré, con l’obiettivo di migliorare la qualità della carne e individuare il protocollo più efficace per preservare le proprietà nutrizionali, standardizzare l’offerta al consumatore, ottimizzare la tenerezza ed esaltare il sapore.

Abbiamo rilevato che non vi sono particolari differenze fra la frollatura in cella e in armadio dal punto di vista delle caratteristiche fisiche e chimiche della carne frollata. È quindi fondamentale adottare pratiche di gestione della carne sin fasi iniziali di frollatura riducendo al minimo il rischio di contaminazione microbica nelle primissime fasi di macellazione e nella preparazione dei tagli adottando delle buone pratiche igieniche e di processo. Fondamentali l’igiene profonda delle aree e dei locali di lavorazione e delle attrezzature impiegate che devono essere separate da quelle impiegate per la preparazione di altri tipi di carne, quest’ultime devono essere impiegate solo ed esclusivamente per la preparazione della carne frollata”.