ALGHERO – I rappresentanti istituzionali e della società civile catalana sono stati condannati per aver difeso un progetto politico ma i conflitti politici non si possono risolvere nei tribunali. Questa è la prima considerazione di fronte alla sentenza del Tribunale Supremo che ha inflitto pene severe a 9 ex esponenti del Governo (tra cui l’allora vicepresidente Junqueras), del Parlamento della Catalogna (l’ex presidente Carme Forcadell) e ai due leader delle associazioni indipendentiste ANC e Omnium, Sanchez e Cuixart.
Eppure, risulta evidente, a chiunque abbia esaminato gli episodi incriminati, che manca la violenza, elemento fondamentale per ipotizzare la sedizione. La Catalogna si è sempre impegnata per ottenere di decidere il suo futuro politico in modo pacifico, attraverso la difesa della democrazia. Quanto accaduto nell’autunno 2017 non fu altro che una protesta civile e non violenta per difendere il proprio diritto all’autodeterminazione.
E questo porta a una seconda considerazione importante. Perché la sentenza di Madrid non può lasciare indifferente l’Europa? Perché crea un pericoloso precedente e rischia di abbassare gli standard di democrazia che sono patrimonio dell’Unione. Altri Stati potrebbero ispirarsi alla decisione del Tribunale Supremo per ridurre gli spazi di libertà di espressione davanti a rivendicazioni legittime e non violente. È un rischio che si vuole correre? Lo stesso andamento del processo è stato più volte oggetto di critiche negative. Non vanno dimenticati gli appelli, inascoltati, di organizzazioni internazionali o i dubbi sollevati dal Comitato Affari legali e Diritti umani del Consiglio d’Europa.
Tutto questo dimostra la chiara volontà dello Stato spagnolo di infliggere una severa lezione all’indipendentismo, di stroncare senza appello ogni aspirazione all’autodeterminazione di un popolo che fa della cultura, della lingua, delle tradizioni, delle istituzioni, dei legami sociali, dell’accoglienza e della solidarietà il suo patrimonio nazionale.
Al contrario, servirebbe un dialogo costruttivo per uscire dallo stallo e superare l’atteggiamento repressivo, una strada che il Governo della Catalogna ha sempre perseguito trovandosi, purtroppo, di fronte ad una chiusura totale. Del resto, i rappresentanti istituzionali finiti in carcere o in esilio erano stati democraticamente eletti e dunque erano legittimati a portare avanti le istanze dei cittadini catalani. L’obiettivo dei movimenti indipendentisti è stato, e rimane oggi più che mai, la negoziazione per un accordo politico finalizzato a legittimare le aspirazioni del popolo catalano.
Il ricorso ai tribunali europei appare inevitabile. Anche per questo è auspicabile una reazione da parte della comunità internazionale. In Italia passi in questa direzione ne sono stati fatti, e ne siamo grati, ad esempio con i manifesti “La Catalogna, l’Europa, la democrazia” e “In difesa dei diritti e dei prigionieri politici catalani”. Una mobilitazione mossa da diverse aree politiche e sostenuta da centinaia di esponenti della società civile.
Il dialogo, dunque, resta l’unica strada percorribile, sebbene sia reso più complicato dalla detenzione e dall’esilio dei principali leaders indipendentisti. Ma nessuno dei diversi governi centrali che si sono susseguiti negli ultimi anni, compreso l’ultimo, ha avuto sufficiente coraggio per avviare un confronto sereno sulla questione catalana. Tuttavia, continuare a ignorarla, o peggio ancora a usare la repressione, servirebbe solo a ritardare l’indispensabile raggiungimento di una soluzione pacifica e democratica.
Luca Bellizzi, Delegato del Governo della Catalogna in Italia