PORTO TORRES – Lettera appello sul dopo Equitalia inviata, dal “Partito Sardo D’azione Sezione Antonio Simon Mossa”, a firma della segretaria Ilaria Faedda, alla gentile attenzione dei deputati, senatori sardi e al Presidente della Regione Sardegna. Come partito riteniamo fortemente che sia urgente un’azione che tuteli il già debole sistema imprenditoriale e sociale Sardo. “Vanno messe in campo azioni politiche e legislative finalizzate ad evitare ogni forma di aggressione delle poche risorse depositate nei conti correnti di imprese e persone fisiche che vivono e operano in Sardegna”.
Onorevoli tutti
Dal primo di luglio l’agognata Equitalia non esiste più! Sarebbe già questa una bella notizia, se non fosse che la sua eliminazione si è rivelata una mera azione populista di marketing politico, tenuto conto che è stata sostituita da un ente fotocopia a cui gli sono stati affidati poteri ancora più aggressivi, fino ad arrivare al prelievo forzato di somme dai conti correnti, senza che un giudice ne disponga l’esecuzione. Di fatto il rimedio si è rivelato peggiore del male.
Ciò che non si capisce è la ratio che ha portato a fare tale scelta, venduta al popolo italiano come l’eliminazione di uno strumento vessatorio per i cittadini. Strumento che, a detta di tanti, parrebbe sia stato anche la causa scatenante di numerosi suicidi. Oggi al suo posto ci troviamo un organismo di riscossione decisamente più aberrante e punitivo. Abbiamo certezza che questo provvedimento stia gettando nella disperazione più totale numerosissimi contribuenti onesti, per intenderci, quelli che non ce l’hanno fatta neanche ad aderire alla recente rottamazione delle cartelle esattoriali.
Va ricordato che chi finisce negli elenchi dei contribuenti morosi sono quelle imprese o persone fisiche che a suo tempo hanno prodotto correttamente e onestamente la propria dichiarazione dei redditi, autodenunciando i propri utili e guadagni, ma che, anche a causa di congiunture negative, sia economiche che di mercato, non sono state in grado di assolvere ai loro doveri nei confronti del fisco. Stiamo parlando, pertanto, di cittadini e imprese che non rientrano nella casistica degli evasori, ma piuttosto di semplici debitori dello Stato italiano che, tra l’altro, hanno visto lievitare in maniera esorbitante il loro debito originale, per via di spese, more e interessi che, messi assieme, superano di gran lunga i tassi d’usura.
La cosa che lascia totalmente perplessi è il messaggio che passa davanti un provvedimento di questo tipo: chi comunque ha dichiarato i propri redditi all’Erario e che, anche per colpe non sue, non ha potuto adempiere ai suoi doveri, viene perseguito come se fosse un delinquente abituale, o addirittura paragonato a quei mafiosi a cui gli vengono confiscati i danari dai conti correnti.
Poco importa se una piccola impresa, un artigiano o un commerciate ha deciso di rinviare il pagamento delle imposte, semplicemente perché tra lo scegliere se pagare una cartella o versare gli stipendi ai propri dipendenti, ha preferito la seconda soluzione. Se la sostituzione di Equitalia sta creando apprensione e sconcerto in tutto il territorio italiano, nella nostra regione, e in aree di forte crisi come Porto Torres, la cosa potrà avere effetti ancor più devastanti sotto il profilo economico, sociale e quello dell’ordine pubblico, per la semplice ragione che fare impresa in Sardegna è nettamente penalizzante rispetto al resto della Penisola. La condizione di disparità economica tra la Sardegna ed il resto d’Italia è ampiamente certificata da tutta una serie di fattori e deficienze strutturali:
fino al 2006 l’isola era ancora inserita “obbiettivo 1”, che comprendeva le regioni europee sotto sviluppate, da cui si è usciti non perché siano sensibilmente migliorati gli indicatori economici e sociali, ma bensì in quanto l’unione europea ha integrato regioni più povere della nostra;
ancora oggi si è alla ricerca di misure che compensino le diseconomie derivate dall’insularità;
il costo dei trasporti incide sensibilmente nelle produzioni destinate sia al mercato interno che a quello dell’esportazione;
la desertificazione industriale nei bacini industriali di Porto Torres, della Sardegna centrale e del Sulcis, figlia dei fallimenti delle Partecipazioni Statali e dell’industria di Stato; la Sardegna è tutt’ora l’unica regione ad essere esclusa dalla metanizzazione, determinando un costo energetico del 30% superiore a quello del Continente;
La nostra è la regione italiana ad avere la maggiore estensione di aree, anche di grandissimo pregio ambientale e turistico, occupate da servitù militari e statali in genere.
Pertanto non si può mettere sullo stesso piano chi è costretto ad operare in realtà come la nostra, Porto Torres in primis, dove la “vera impresa” è riuscire a tenere in piedi una struttura aziendale, rispetto a chi ha un’attività imprenditoriale in una delle zone floride del Paese, stracolme di servizi e opportunità.
In Sardegna la maggior parte degli imprenditori che non pagano le tasse alle scadenze canoniche, non lo fanno per occultare i propri guadagni in paradisi fiscali o in banche estere, come avviene in molte aree ricche del Paese, ma semplicemente perché preferiscono dare priorità a stipendi e fornitori. Se a quelle imprese gli dovesse essere pignorato, o peggio ancora prosciugato, il conto corrente, si sancirebbe l’immediata chiusura di quelle aziende, mettendo a repentaglio l’esistenza delle stesse e ed il futuro dei dipendenti con le loro famiglie. Altro aspetto che rende iniquo il rapporto tra il fisco italiano e la Sardegna, è il debito che ha lo Stato nei confronti dell’Isola, in virtù di quanto previsto dalll’art. 8 del Titolo terzo dello Statuto di autonomia della Regione Sarda, dove si dispone che i 7 decimi delle imposte versate in Sardegna devono tornare ai Sardi.
I crediti milionari che vanta la nostra regione nei confronti dell’Erario statale, alcuni sin dal 1991, derivati dalla ormai storica “vertenza entrate”, non sono ancora stati saldati, sancendo una morosità ormai cronica.
Proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere se i Sardi potessero applicare i poteri dati all’Agenzia delle Entrate-Riscossioni nei confronti delle casse del Tesoriere dello stato. Sarebbe una catastrofe! Vi è anche da considerare che lo Stato non può essere aggressivo quando è il cittadino o l’azienda ad avere debiti col fisco, mentre è sfuggente quando sono imprese o persone fisiche ad avere crediti nei confronti dello Stato.
Non si contano più le somme che le imprese Sarde aspettano per aver effettuato prestazioni, forniture e realizzato opere pubbliche per enti statali o direttamente collegati ad essi. Crediti che stanno mettendo in serio pericolo la loro stabilità finanziaria, ma che non riescono ad esigere se non dopo estenuanti solleciti e azioni giudiziarie che durano decenni. In un rapporto alla pari quelle imprese dovrebbero essere messe nelle condizioni di aggredire i conti correnti di quegli enti statali 60 giorni anche solo dopo il primo decreto ingiuntivo.
Ecco perché riteniamo che sia urgente un’azione che tuteli il già debole sistema imprenditoriale e sociale Sardo. Vanno messe in campo azioni politiche e legislative finalizzate ad evitare ogni forma di aggressione delle poche risorse depositate nei conti correnti di imprese e persone fisiche che vivono e operano in Sardegna. Se tutto questo non lo rivendichiamo noi Sardi, attraverso i nostri rappresentanti istituzionali, non aspettiamoci che chi ha usato per anni la Sardegna come colonia possa immedesimarsi nella realtà in cui viviamo.
Nella foto la segreteria del Psd’Az
S.I.