ALGHERO – “Pillole di felicità in tempi di guerra”. Così le chiama Fabio Saiu quelle contenute nella monografia a lui dedicata in cui si ripercorre la carriera dell’artista algherese dal 1996 fino ad oggi. La pittura è lo strumento tramite cui comunica i suoi pensieri al mondo. Pensieri caotici e imprevedibili, come la musica jazz, e frutto di quelli che sono gli accadimenti di questi decenni di totale instabilità, ma anche del luogo dove vengono creati. Lavori che hanno trovato notevole apprezzamento oltre Tirreno anche in fiere d’arte a Bologna, Verona e Torino dove è nato il sodalizio con l’attuale gallerista. Galleria che si chiama Studio legale di Caserta ed ha all’attivo mostre del grande Enzo Cucchi alla Reggia di Caserta, e ha scoperto artisti che poi hanno avuto fama internazionale come Ryan Mendoza
In un momento di smarrimento come questo dove però è indispensabile pensare all’oggi ma anche al domani, anche l’arte, se poi è indigena e di grande valore, può essere un buon viatico per rinascere.
E per comprendere meglio “il mondo” di Fabio Saiu il direttore Stefano Idili ha fatto alcune domande al pittore in un’intervista che prova a spiegare al meglio la sua arte con anche qualche altro passaggio connesso sempre al mondo di riferimento.
Quando e cosa ti ha fatto avvicinare all’arte e in particolare alla pittura?
Il mio legame con l’arte è stato istintivo, naturale. Unrichiamo scatenato da una pulsione innata, da una predisposizione verso il disegno che è emersa fin da quando ero bambino. Ho avuto la grande fortuna, nel periodo delle scuole superiori, di studiare con Nicola Marotta, un pittore che stimo moltissimo, a mio parere il più bravo della sua generazione. Poi è arrivata l’Accademia delle Belle Arti di Sassari e da lì in poi è stato un crescendo di passione e perseveranza.
Studiare in accademia cosa ti ha dato in termini di crescita artistica?
L’esperienza in accademia è stata bellissima, effervescente, indimenticabile. Mi sono ritrovato in un mondo parallelo in cui i miei docenti erano essi stessi pittori, artisti, personaggi illuminati. Pinuccio Sciola, che insegnava scultura, notò il mio tratto e il mio approccio cromatico dicendomi che avremmo fatto una mostra ad Alghero. Mi introdusse a Marco Magnani, il critico più influente in Sardegna. Era il 1992…
Raccontaci del rapporto con Pinuccio Sciola.
Il dialogo con Sciola è stato molto intenso, un confronto costante durato una decade, dal 1991 al 2001. Nel ’92 fu lui a volere fortemente la mia prima mostra ad Alghero. In quel periodo veniva spesso a casa mia, dove si fermava come mentore e come ospite gradito. Nel 1993 mi coinvolse in una performance sulla spiaggia. Una mattina mi chiamò e disse “andiamo al mare”. Arrivò con una valigetta da cui estrasse delle piccole statue che simulavano le pose dei bagnanti al sole. Le dislocò sul bagnasciuga e quando arrivavano le onde investivano i soggetti di terracotta creando l’effetto di un tableau vivant. Sempre nel ’93 mi invito a realizzare un grande murales a San Sperate, in occasione della rassegna del muralismo in Sardegna. Nel 2001 presenziò alla mia personale con Primo Pantoli a Cagliari. Siamo sempre rimasti in contatto, fino alla fine, e di lui conservo dei ricordi carichi di rispetto e gratitudine.
Oggi la Sardegna ha “uno Sciola”? E più in generale, cosa si dovrebbe fare per favorire la crescita degli artisti esistenti e crearne nuovi?
Artisti come Sciola sono rari e preziosi. A costo di sembrare cinico, io credo che un vero talento possa crescere ed emergere in qualsiasi contesto e nonostante tutto, anche se non supportato da istituzioni o iniziative dedicate. Sicuramente è auspicabile incoraggiare i giovani con corsi di studio, eventi e approfondimenti di stimolo ma ciò che fa la differenza è il modo in cui ti poni verso il mondo dell’arte. Occorre viaggiare, informarsi, leggere molte riviste di settore, nazionali e internazionali, visitare musei e gallerie nel mondo, confrontarsi con gli altri artisti, ricercare e raccontare qualcosa di tuo attraverso la tua propria visione. Incontrare la persona giusta lungo il percorso, com’è accaduto a me, sicuramente è una fortuna non indifferente ma se hai qualcosa da dire, prima o poi viene fuori con la sua potenza a prescindere dall’appoggio e dall’approvazione altrui. Un giorno Maria Lai mi ha detto “la gloria non è degli artisti veri perché gli artisti veri sono troppo impegnati a combattere le proprie inquietudini”.
Lo stato dell’arte oggi in Italia e a cascata in Sardegna, Alghero inclusa.
Qui occorre in primo luogo introdurre una distinzione tra la fascia medio-alta e quella medio-bassa. La prima, quella degli artisti famosi e storicizzati, anche durante la crisi del 2008 ha sempre navigato in buone acque perché l’arte rimane la più valida forma di investimento e i nuovi ricchi questo lo sanno bene. Purtroppo invece, la fascia medio-bassa, quella dei giovani e degli emergenti, oggi faticamolto, soprattutto rispetto a vent’anni fa, anche la rinnovataattenzione verso la pittura, da qualche anno a questa parte, è un segnale positivo. I curatori internazionali stanno smettendo di ghettizzare la pittura come hanno fatto nelpassato, e si stanno prodigando per sostenere talenti di spicco, come per esempio Adrien Ghenie, le cui opere oggi raggiungono quotazioni altissime. In Italia, e anche in Sardegna, inizia ad esserci molto fermento e una buona dose di competizione e sono fiducioso che dopo questa crisi mondiale il mercato si vada a riattivare con energia.
L’Arte oggi (domanda retorica) può essere un valido volano per creare economie derivanti dal turismo, di nicchia o meno?
La cultura e l’arte, in ogni loro aspetto, sono un grandissimo volano per l’economia e questo, per esempio, l’ha capito bene la Germania; un paese che non ha il mare, non ha il patrimonio storico, artistico e culturale dell’Italia, ma che ha fatto dei musei, delle gallerie e dei vernissage una delle sue forze maggiori. Solo a Berlino oggi sono presenti ben 300 gallerie. Al tempo stesso, se è vero che la cultura genera ricchezza, è anche vero che la devi saper fare ed esportare. In Italia si sta muovendo qualcosa (vedi l’apertura gratuita dei musei di domenica) ma siamo ancora molto distanti dalla passione e dalla sensibilità di Londra, Berlino e New York. Noi italiani siamo abituati a vivere di rendita, a contare pigramente sul fatto che siamo la culla del rinascimento, la capitale mondiale dell’arte e dell’architettura, ma alla fine il paese va soprattutto avanti con la moda e la cucina. Lo stesso Adrien Ghenie, che ho citato prima, per trovare il successo si è dovuto trasferire dalla Romania a Berlino. Da giovane mi era stato consigliato di fare lo stesso, ma ho scelto di rimanere in Sardegna. Ho sempre avuto la tendenza a scegliere la strada più difficile.
Come descriveresti la tua arte? Negli anni come si è modificata e perché si è modificata.
Gli artisti non amano descriversi. Preferiamo fare piuttosto che parlare. Abbiamo un leone dentro e lo dobbiamo domare. Lavoriamo seguendo il nostro istinto. Se possiedi il talento, la ricerca continua e si evolve in maniera positiva. Se sei solo un mestierante, ovvero un bravo artigiano che si dichiara artista, allora a un certo punto ti fermi. La mia arte si concentra sulla figura dell’uomo in una situazione ironica, paradossale, con una forte dose di drammaticità data dai colori vivi e violenti. Le velature sono il mio tratto distintivo. La mia tecnica è fortemente ispirata dal mare, dalle trasparenze, dalle patine e dalle stratificazioni delle sfumature materiche. Ho compiuto un’analisi e una sperimentazione molto intensa prima di arrivare a certi risultati tecnici ma oggi posso reputarmi molto, molto soddisfatto.
Parlaci della monografia in uscita
Questa monografia è il risultato di un lungo e appassionato confronto con il mio gallerista, Antonio Rossi, della Galleria Studio Legale di Caserta. È una raccolta di 38 opere in 23 anni di lavoro, dal 1996 al 2019, in cui porto i miei lavori fuori dalle case e dalle gallerie per farne racconto e reminiscenza. I testi in catalogo sono firmati da tre figure di eccellenza: Pinuccio Sciola, L’amico PaoloFresu e Massimo Sgroi, critico esperto e curatore di mostre di grande rilievo. E’ un progetto amibizioso, che ha richiesto due anni di lavoro e che è destinato alla distribuzione allargata tramite i più importanti circuiti nazionali e internazionali. Dietro tutto questo c’è anche unimportante collezionista del nord Italia, che nel 2017, dopo aver visitato la mia personale “Dreamcolors” al Museo di Arte Contemporanea di Caserta, ha acquistato le mie tele appoggiando e contribuendo vivamente alla produzione della monografia. Nella sua collezione privata, i miei dipinti compaiono accanto alle opere di Basquiat, Richter e Warhol.
La musica influenza il tuo lavoro ovvero quando dipingi ascolti musica e se si quale?
Pur essendo un profano posso affermare di essere un grande appassionato di jazz. In studio conservo gelosamente una raccolta di jazzisti internazionali e quando dipingo, li metto a rotazione spaziando da Louis Armostrong a Miles Davis. Le note del jazz sono in sintonia con le pennellate. Sento una bella sinergia e la musica mi serve soprattutto all’inizio, per rompere il ghiaccio, per allentare la tensione prima di concentrarmi totalmente sui colori ed estraniarmi dal resto del mondo. Non è un caso che Paolo Fresu, jazzista straordinario e persona estremamente sensibile all’arte, abbia regalato una sua testimonianza alla mia monografia.
Indicaci un paio di talenti di oggi da far conoscere a tutti.
Mi ripeto con un nome che vale per tanti, Adrian Ghenie.